Unione Nazionale delle Camere Civili: ancora questioni irrisolte sull’equo compenso

L’UNNC auspica una equa interpretazione delle norme su retroattività della disposizione,
sanzioni dei professionisti e potere negoziale di banche e assicurazioni a sfavore dei giovani
avvocati

Roma, 14 aprile 2023

L’Unione Nazionale delle Camere Civili esprime la propria soddisfazione in merito all’approvazione definitiva della legge dell’equo compenso per i professionisti.

Già lungamente dibattuto, il riconoscimento di tale diritto fondamentale per i lavoratori autonomi lascia però ancora spazio a tre questioni irrisolte che meritano una ulteriore riflessione.

La prima riguarda la retroattività della disposizione e l’interpretazione equa delle norme. Il Presidente del Cnf Greco, a commento della notizia, ha giù auspicato che la legge venga applicata seguendo il criterio di retroattività. Il tema posto si scontra apparentemente con l’art. 11 “Disposizioni transitorie”, secondo cui “le disposizioni della presente legge non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore delle legge”. Nel caso dell’equo compenso, le disposizioni non si applicherebbero quindi alle prestazioni professionali non ancora svolte. Tuttavia, una interpretazione equa delle norme potrebbe correggere la stortura.

Anzitutto, nonostante esista a monte una convenzione quadro, ogni singolo incarico conferito e accettato costituisce un nuovo rapporto a cui la nuova legge può essere applicata. In tale scenario, solo i rapporti in corso di svolgimento vengono esclusi, il che resterebbe ingiusto ma sicuramente ridurrebbe di molto i margini di ingiustizia.

In secondo luogo, occorre ricordare che sarà l’intervento del giudice a stabilire cosa sia equo e cosa non lo sia, e a decidere sulla nullità dei contratti che prevedono condizione non eque. Nel nostro ordinamento, infatti, correttezza e buona fede sono strumenti che permettono al giudice anche di modificare il contenuto del contratto che le parti hanno firmato (da ultimo, Cass. 30853/2022). Pertanto, in mancanza di nullità “automatica” o nel caso in cui non sia possibile riconoscere al professionista l’indennizzo previsto dalle nuove norme, sarà il giudice, se richiesto, a poter stabilire che i vecchi rapporti non soggiacciono alla nuova legge, e che non è giusto che prestazioni identiche vengano pagate diversamente a seconda della data in cui è stato sottoscritto il contratto. Invocando la correttezza e la buona fede, sarà egli stesso a concedere, quella integrazione del compenso che il Legislatore ha incomprensibilmente escluso.

La seconda riflessione si lega agli indennizzi precedentemente citati. Il Legislatore ha previsto espressamente che al professionista che ha dovuto subire un trattamento non equo il giudice possa liquidare un indennizzo. Ne consegue che tale professionista sia una vittima da compensare. Data la premessa, è controintuitivo prevedere che una vittima debba subire una sanzione disciplinare, come prevede il nuovo articolo 5 comma 5. La fattispecie potrebbe applicarsi solo
se si osservasse un tentativo di accaparramento di clientela, che però è cosa diversa. Ma sarebbe la prima volta che verrebbe sanzionata la vittima di un sopruso e non chi l’ha compiuto. Speriamo che serva soltanto a spezzare il vincolo di omertà che può legare il professionista al cliente che abusa, e che poi finisca rapidamente nel dimenticatoio.

Infine, la terza e ultima considerazione va al futuro della professione: se davvero le vecchie convenzioni restassero invariate in eterno, pure per gli incarichi futuri, si bloccherebbe il ricambio generazionale: banche e assicurazioni cercherebbero di mantenere in vita il rapporto con i vecchi avvocati, pur di conservare il loro potere negoziale. Coloro che hanno un forte potere contrattuale sarebbero così salvi: l’equo compenso non li toccherebbe.

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