PA: Orlando Taddeo (CEO di Airtime): Il PNRR destina quasi 50 miliardi di euro in progetti legati al digitale. E’ un’occasione per modernizzare il nostro Paese che è ancora indietro sull’implementazione delle tecnologie digitali rispetto alle grandi economie europee. Sarebbe un suicidio economico non riuscire a utilizzarli interamente. L’anello debole, più che le imprese, è la Pubblica Amministrazione dove i progressi fatti finora sono ancora “di facciata”, non avendo portato significativi vantaggi ai cittadini, anche in tempo di Covid quando è necessario limitare al minimo i contatti diretti.

“Il PNRR destina quasi 50 miliardi di euro in progetti legati al digitale, sarebbe un suicidio economico non riuscire a utilizzarli interamente.  La mancanza di strategie di lungo periodo negli ultimi anni ha rappresentato un fardello enorme che ci portiamo ancora addosso e che frena le prospettive di crescita potenziale del nostro Paese. I dati rielaborati dal nostro Osservatorio mostrano come introdurre tecnologie digitali consente di migliorare le performance aziendali rispetto a chi non è digitalizzato: +28% gli utili, +18% i profitti, + 18% il valore aggiunto. La pandemia ha accelerato un processo già in corso ma i ritardi sono ancora molto ampi. Il PNRR può essere una boa di salvataggio”.

Lo dichiara Orlando Taddeo, CEO di Airtime Partecipazioni nel presentare il focus su “Digitalizzazione e Pubblica Amministrazione in Italia” elaborato dall’Osservatorio sulla Digitalizzazione di Mexedia, la nuova divisione di Airtime Partecipazioni S.p.A. nata per rendere le aziende e le organizzazioni più performanti e vicine al cliente utilizzando tutti i canali di comunicazione.  Airtime Partecipazioni è una tech company quotata in Francia sul listino Euronext Growth Paris.

“In un contesto -è spiegato nel report- che si sta fortemente orientando verso una maggiore innovazione digitale, anche in considerazione della transizione ecologica che richiede un sistema economico più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, l’Italia risulta ancora in una posizione arretrata rispetto ai principali competitor. Nel ranking europeo costruito sulla base del DESI (Digital Economy and Society Index), l’indicatore annuale prodotto dalla Commissione Europea che misura il livello di digitalizzazione degli Stati membri, l’Italia mostra un significativo ritardo, occupando il 20° posto su 27. Nonostante i progressi conseguiti rispetto al 2020, il gap in confronto con le principali economie europee resta molto ampio: il nostro Paese primeggia su Cipro, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria e Romania.”

“Perché l’Italia è ancora indietro? – prosegue Taddeo – Secondo  le rielaborazioni del nostro centro studi, tre fattori hanno inciso maggiormente su questo ritardo: il capitale umano, la connettività e la diffusione dei servizi pubblici digitali. Capire le principali ragioni che spiegano il ritardo italiano è cruciale perché ci offrono indicazioni sulla strada da seguire per modernizzare il nostro Paese e renderlo più competitivo, al pari con i Paesi più avanzati, in un contesto europeo e globale che sta velocemente cambiando.
Analizzando il dettaglio delle statistiche europee, si rileva come con riferimento alla componente “capitale umano” l’Italia si collochi al 25º posto: solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (contro il 56% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze avanzate (31% nell’UE). Il nostro Paese risente in particolare di un basso livello di scolarizzazione digitale, un tessuto imprenditoriale caratterizzato dalla presenza di poche grandi aziende e un’età media molto elevata della popolazione. Con riferimento alla “connettività” l’Italia si colloca, invece, al 23º posto: solo il 61% delle famiglie è abbonato alla banda larga fissa, contro il 77% della media europea, mentre la percentuale di famiglie che dispongono di una connessione veloce ha raggiunto il 28% nel 2020 (a fronte di una media UE del 34%).”

I servizi pubblici digitali

Dall’analisi dell’Osservatorio emerge come sulla diffusione dei servizi pubblici digitali l’Italia si collochi al 18° posto tra gli stati UE, a causa di un grado di diffusione delle tecnologie digitali nella PA molto basso: la percentuale di utenti online che ricorre a servizi di e-government ha raggiunto il 36% nel 2020 contro il 64% della media UE.

“Secondo l’indagine di Banca d’Italia- prosegue Taddeo- sull’informatizzazione nelle Amministrazioni locali diffusa a gennaio del 2022, il 53% degli enti ha un sito internet esclusivamente informativo e non abilitato al dialogo con l’utenza, nel Mezzogiorno sale al 67%, mentre solo il 30% degli enti consente il pagamento online tramite il proprio sito (13% nel Mezzogiorno). I fattori di ostacolo sono costituiti dalla limitatezza delle risorse finanziarie a disposizione (65% degli enti) e da carenze di professionalità del personale (58% degli enti).

L’aspetto molto preoccupante è proprio il ritardo della PA nell’implementazione dei servizi digitali, nonostante due anni di pandemia durante i quali è stato necessario garantire, a tutela della salute dei cittadini, il distanziamento sociale e ridurre al minimo i contatti. Molti dei siti della PA sono semplici vetrine, che non sono utili al cittadino e non sostituiscono lo sportello fisico e la carta. Inoltre, per quanto riguarda l’erogazione dei servizi all’utenza tramite canali online e strumenti di pagamento utilizzati, vi sono ancora ampi margini di miglioramento.

I risultati dell’indagine di Banca d’Italia-conclude Taddeo- indicano chiaramente la necessità di dotare le amministrazioni delle professionalità e delle competenze tecniche utili a superare i gap culturali dei dipendenti pubblici, di puntare sull’incremento delle risorse finanziarie ma soprattutto sulla formazione, tema cruciale anche nell’ambito dell’attuazione dei progetti del PNRR. Solo colmando questi gap si potranno dotare le pubbliche amministrazioni di persone in grado di accompagnarle verso una moderna organizzazione digitale nella fornitura di servizi a cittadini e imprese”.

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