Una norma nata per aiutare le madri rischia di dividere i genitori. Nel 2026 la vera domanda potrebbe essere questa: chi è davvero genitore agli occhi della legge?
Negli ultimi mesi si parla molto di bonus familiari, ma c’è una norma che è scivolata quasi inosservata e che rischia di aprire un fronte giuridico enorme. Con il decreto legge 95/2025 sono arrivati due aiuti per le lavoratrici madri: un bonus mensile e uno sgravio contributivo fino a 3.000 euro l’anno. Un intervento pensato per sostenere la maternità e rendere più leggero il peso della cura familiare. L’idea è chiara, il problema è come è stata tradotta nella pratica.
La norma, infatti, non si aggancia alla gravidanza, ai periodi di assenza dal lavoro o alle interruzioni della carriera. Si aggancia solo e soltanto a una cosa: l’essere madre. E qui iniziano i nodi giuridici più seri.
Mettiamola così, con un esempio semplice. Una donna e un uomo lavorano nella stessa azienda. Hanno lo stesso contratto, lo stesso stipendio, lo stesso numero di figli. Eppure solo lei ha diritto allo sconto sui contributi. Lui no. Non importa che condividano responsabilità, orari, carichi familiari. Non importa che i figli siano gli stessi. In termini giuridici, questa situazione si chiama discriminazione diretta.
La normativa europea sulla parità di trattamento in materia previdenziale è molto chiara: le differenze tra uomini e donne sono ammesse solo quando servono a tutelare la gravidanza, il parto o i periodi di cura dei figli. Casi specifici, legati alla biologia o all’interruzione della carriera. Qui, invece, non c’è nessuno di questi presupposti. C’è solo la condizione di essere genitore.
Il quadro diventa ancora più interessante se guardiamo ciò che è successo in Spagna. Anni fa era stato introdotto un bonus pensionistico riservato solo alle madri con figli. Anche lì l’intenzione era buona, ma la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha cancellato la norma: se il beneficio è legato al fatto di avere figli e non alla maternità biologica, escludere i padri è illegittimo. Punto.
Il parallelismo con la misura italiana è evidente. L’argomento giuridico della Corte è semplice e difficilmente aggirabile: se un papà sostiene gli stessi carichi familiari di una mamma, non può essere trattato in modo diverso quando si parla di contributi o pensioni.
Lo scenario non è astratto, è concreto. Qualunque padre con tre o più figli potrebbe chiedere all’Inps l’accesso allo stesso sgravio contributivo riservato alle madri. L’Inps, com’è prevedibile, respingerebbe la domanda. E a quel punto la questione arriverebbe davanti a un giudice. Con quali prospettive? Guardando i precedenti europei, non certo irrilevanti.
Anche il bonus mamme, pur essendo una misura assistenziale, non è al riparo da contestazioni. Se due famiglie si trovano nella stessa condizione economica, la Costituzione chiede che siano trattate allo stesso modo. Premiare una famiglia e ignorarne un’altra solo perché a lavorare è la madre e non il padre rischia di trasformare un aiuto in un caso di incostituzionalità.
Il 2026 potrebbe quindi diventare l’anno in cui questa norma verrà testata nei tribunali. Non per una battaglia ideologica, ma per un principio molto semplice: quando lo Stato decide di sostenere le famiglie, il genitore non dovrebbe contare più del bisogno.
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